Il Narratore e il Randagio


Il locale non era certo famoso per la classe, le luci sulle pareti era diafane, la tappezzeria mostrava i segni del tempo e gli arredi erano sbrecciati e con evidenti scheggiature. In fondo al locale c’era un bancone che non era proprio un modello di pulizia, le spine installate sgocciolavano birra, la necessità di una robusta manutenzione era evidente. Ai tavoli quadrati era seduta una variegata umanità, probabilmente molti erano passati dalle patrie galere, ma nessuno certamente per delitti famosi. Fra di loro si muovevano donne discinte, vestite in maniera appariscente e con trucchi pesanti, quasi tutte sovrappeso e con un trascorso non proprio da educande. 

L’uomo che varcò la soglia di questo pub appariva assolutamente fuori posto nel contesto, non si sarebbe potuto definire un elegantone, l’abito grigio denotava comunque un taglio su misura, il trench beige era elegante, il cappello floscio sulla testa si univa idealmente alla borsa di pelle marrone che teneva con la mano sinistra. Una borsa che apparentemente doveva accompagnare il suo proprietario da svariato tempo, considerando i segni esterni chiaramente visibili. L’uomo in grigio passò attraverso i tavoli senza che nessuno gli prestasse particolare attenzione dirigendosi verso il tavolino posto nell’angolo più estremo del locale posto alla sua destra. Questo era già occupato da un uomo dall’aspetto trasandato, la barba risultava lunga di qualche giorno e gli increspava il viso solcato dalle rughe. I capelli, in buona parte bianchi, erano lunghi e bisognosi di uno shampoo, indossava un giaccone di pelle scamosciata marrone con delle frange, pantaloni di fustagno e camicia scacchi verde e rossa, appariva quasi come un cow-boy a riposo.

L’uomo in grigio si fermò di fronte a lui e lo fissò brevemente.
“Lei è il Randagio?”, gli chiese.
“Lei è il Narratore?”, rispose l’uomo con voce roca.
Il Narratore si sedette, posò la borsa sul tavolo, l’aprì con movimenti studiati e ne trasse un grosso quaderno chiuso da una lingua di pelle fermata con un bottone automatico. Sfogliò le pagine fino a che arrivò alla pagina cercata, un sorriso gli aprì il volto, “Eccola, trovato! Il Randagio! Ora possiamo iniziare”, chiosò fissando l’uomo di fronte a lui mentre impugnava una penna stilo con la mano destra.
L’uomo assunse un’aria assorta, poi iniziò a parlare, “Eravamo felici, avevamo una fattoria, nulla di esagerato, ma ci dava da vivere bene, i campi erano fertili e gli animali avevano i loro pascoli. Mia moglie Sarah era bellissima, la sua dolcezza era la gioia della mia vita, lei lavorava nella banca dove avevo il conto. Una volta la invitai fuori a cena, e l’anno seguente eravamo sposati, una vita normale e felice, desideravamo un figlio, e un giorno le nostre preghiere furono esaudite, Sarah si trovò ad essere in dolce attesa, di un maschio”.

L’uomo tacque e il Narratore lo fissò in silenzio, poi fece un cenno al cameriere e quando questi si avvicinò ordinò una bottiglia di vino. Attese che fosse portata a tavola e quindi riempì i due bicchieri. Il Randagio bevve una sorsata di rosso e ricominciò a parlare, “Pensi di avere tutto quello che ha sempre sognato, un lavoro soddisfacente, una bella casa, una moglie perfetta, e ora ecco che arriva l’ultima cosa si può desiderare, un figlio”, l’uomo rise buttando la testa all’indietro, i capelli si mossero disordinatamente spargendo ombre rettili tutto intorno. “La gravidanza proseguì senza problemi, anche troppo, a volte la ginecologa di mia moglie ci guardava perplessi sostenendo di non avere mai visto un bambino più buono di questo, ma che appariva in perfetta salute”.
“Tutto perfetto dunque”, interloquì il Narratore assaggiando con una espressione di disgusto il vino di bassa qualità che gli avevano portato.
“Tutto perfetto?”, il Randagio scosse la testa, “Così appariva, Ernest nacque in una notte terribile, forse avremmo dovuto capire il presagio. La notte che mia moglie ebbe le doglie pareva che il cielo sarebbe crollato sulla Terra, corsi a prendere l’auto dalla rimessa, ma non volle mettersi in moto malgrado la tenessi sempre in ordine. Telefonai all’ospedale per avere un’ambulanza, ma erano tutte impegnate per una serie di incidenti dovuti alla tempesta, non sapendo cosa fare interpellai la ginecologa. Sarah non aveva avuto nessun problema, la dottoressa si precipitò a casa nostra assieme a una ostetrica, il parto andò liscio come l’olio, il bambino nacque senza un solo lamento, solo il primo vagito, poi suoni, risate, ma niente pianti disperati da neonati. La dottoressa non sapeva cosa pensare, ma era in perfetta salute, secondo lei avevamo avuto uno di quei bambini paciosi che mangiano, giocano e ridono sempre.

Il Narratore posò la penna sul tavolo con un gesto nervoso, “Non è che abbia molto da scrivere finora, non sono venuto qui per raccontare una storia da rivista patinata!”
“Sa qual è il problema? Che uno ora potrebbe pensare alla trama di uno di quei film horror di bassa lega, con bambini invasati, bambole assassine e via dicendo. Forse sarebbe stato persino meglio, ma nel nostro caso ho scoperto cosa sia veramente il male, quello invisibile, oscuro, lo senti strisciare attorno a te, senza riuscire mai a vederlo o percepirlo con precisione, fino a che è troppo tardi, e tu stesso diventi il male”
Il viso del Narratore si accese di vivo interesse, i suoi occhi scintillarono mentre riprendeva in mano la penna, “Vada avanti”, lo esortò.
I primi anni furono felici, Ernest, così lo avevamo chiamato, era un bambino tranquillo, silenzioso magari, ma non dava problemi. Dimostrava un’intelligenza fuori dal comune, poi iniziarono i problemi”. Il Randagio si fece improvvisamente assorto, il suo sguardo vagava perso in mondi che solo lui vedeva, bevve un sorso di vino, “La prima volta tornai a casa assieme a Sarah che ero andato a prendere in città, avevamo un cane che amavamo come una persona di famiglia, ma quella sera non ci venne incontro facendoci le feste come sempre. Lo trovammo sulla porta di casa, sgozzato, qualcuno gli aveva tagliato la gola, o meglio squarciato. Inorriditi ci precipitammo dentro temendo di trovare una tragedia, invece in salotto c’era Ernest che dormiva pacificamente e la balia che leggeva un libro sulla sedia a dondolo, pareva non si fossero accorti di nulla”.
“Diamine, vada avanti, la prego”, incitò il Narratore acceso di vivo interesse.
“Chiedemmo alla balia come fosse possibile che non si era accorta di niente, lei ci rispose che al bambino dava fastidio l’abbaiare del cane e proseguì a leggere il libro che aveva tra le mani. Non sapevamo cosa fare, pensammo che la donna fosse impazzita, non avevamo prove, la cacciammo assumendone un’altra con delle referenze eccellenti.”
“E poi?”
“Non accadde nulla per un paio di settimane, Ernest cresceva forte e deciso, pareva avere più anni dei suoi caratterialmente, e infine accadde di nuovo”
“Cosa?”
“Arrivai a casa dal lavoro nei campi, da lontano vidi delle macchie bianche nel pascolo a fianco della nostra casa. Quando mi fermai vicino al recinto scoprii con terrore che tutte le nostre pecore erano state uccise, giacevano a terra con il corpo aperto, sangue ovunque. Batuffoli di lana e viscere erano sparsi nell’erba. Una strage.”
“Terribile!”, commentò inorridito il Narratore continuando a scrivere freneticamente nel suo quadernone.
“Entrai in casa come una furia, mi aspettavo di trovare una strage, temevo fosse arrivata una banda, non so. Al piano terra non c’era nessuno, corsi di sopra in camera di Ernest e lo trovai che dormiva sereno. La balia lo vegliava tranquillamente”.
“E non si era accorta di nulla?”, chiese interessato il Narratore.
“Mi disse che Ernest si era affacciato e guardando le pecore le aveva trovate ‘brutte’, questo è quanto”
“Cosa faceste a quel punto?”
“La sera ne parlai con Sarah, poi tornammo a chiedere informazioni alla balia, ma sembrava una brava persona, referenze ineccepibili, non c’era spiegazione. Qualunque idea diversa da un branco di lupi che avesse distrutto il nostro gregge, per quanto anomalo, appariva impossibile e impensabile”
“Capisco, come procedette poi la cosa?”
Pareva che le rughe si infittissero sul viso del Randagio man mano che continuava nel suo racconto, “Gli avvenimenti si infittirono, un’aura strana aleggiava tutto intorno casa nostra, un fetore di male che impregnava tutto, anche se invisibile. Dopo pochi giorni, la balia abbandonò casa nostra a causa di una misteriosa caduta per le scale. Ne assumemmo altre, duravano sempre meno, per qualche motivo lasciavano l’incarico, eppure Ernest sembrava un bambino precoce, ma sereno e felice, eppure qualcosa non andava bene. Ma probabilmente la mente umana rifugge quello che non riesce a capire e mette le paure in un angolo”, l’uomo si interruppe per bere.
“Per ora sembra la trama di un film horror, non particolarmente nuovo peraltro, proseguiamo?”
“Devo spiegarle i fatti che portarono alla mia trasformazione in quello che ora conoscete come Il Randagio”
“Vada avanti”, rispose il Narratore ricominciando a scrivere.

“Nell’impossibilità di avere una balia fissa mia moglie si mise in aspettativa, volevamo arrivare all’età in cui Ernest sarebbe andato a scuola, così lei rimase a casa per badarlo. La mia amata Sarah”, chiuse l’uomo con un singulto. “Ma il male invisibile che era penetrato fra noi non dette scampo, cambiava le persone tirando fuori le loro parti più oscure, il lato peggiore.”
“Cosa successe?”, chiese il Narratore fissando le lacrime che scendevano dagli oggi del Randagio.
“Un giorno tornai dai campi prima del previsto causa il maltempo, a piano terra non c’era nessuno, salii al piano di sopra, nostro figlio dormiva sereno, andai in camera nostra pensando che anche Sarah stesse riposando.”
“E invece?”
“La mia amata moglie, madre di nostro figlio, stava facendo sesso con il nostro soprastante, completamente nudi, faceva cose che non si era mai permessa nemmeno con me. Rimasi per qualche attimo gelato a guardare la scena, lei si girò verso di me e mi sorrise. Fuggii via e mi recai da Ernest, lo abbracciai per proteggerlo”
“Terribile”
“Già, ma non è tutto. Quando presi mio figlio tra le braccia piangendo, mormorai inconsapevolmente, “Tua madre…”, lui mi guardò sorridendo, “Babbo, mamma si sentiva sola, ora è in compagnia”. La verità mi franò addosso in un attimo, compresi l’enormità del male che pervadeva la nostra famiglia, corsi fuori di casa come un pazzo.”
“Diamine, che storia. Cosa fece a quel punto?”
“La sera a cena pareva non fosse successo nulla, come se Sarah non ricordasse nulla, anche se sapevo che mi aveva visto, non capivo, ma feci finta di nulla. Detti la colpa allo stress, ad avere dovuto lasciare il posto di lavoro per dedicarsi al figlio. Licenziai il soprastante e mi assunsi i suoi compiti. Ma la cosa non era finita lì come pensavo, e speravo.”

Seguì un periodo di silenzio da parte dell’uomo, assorto a fissare il bicchiere semivuoto di vino, “Vada avanti, la prego”, intervenne il Narratore.
Il Randagio si riscosse, “Dopo pochi giorni la trovai a letto con il giardiniere, tutto uguale, pareva lo facesse in trance, non ne parlammo mai. Poi fu la volta dei vari lavoranti, tornavo a casa e la trovavo a rotolarsi nel nostro letto mugolando con altri uomini. Quando mi recavo disperato da Ernest lui si limitava a ripetere “Mamma era sola”. Licenziai man mano tutti quelli che lavoravano per noi, rimanemmo soli io, Sarah ed Ernest, anche la fattoria iniziò ad andare in malora senza più nessuno a lavorarci a parte me. Mi dannavo tutto il giorno, ma non era sufficiente.”
“Successe altro?”
“Ernest era diventato ancora più silenzioso, Sarah triste e taciturna, un giorno tornai a casa e la trovai nella vasca da bagno, la schiuma era rossa, si era tagliata le vene. Arrivai in tempo, suturai le ferite e si salvò senza grossi danni.”
“Orribile, davvero orribile”, persino il Narratore, abituato a sentire ogni sorta di storie era commosso.
“In quel momento, dopo averla curata e messa a letto, andai da Ernest sperando in un momento di dolcezza, lui mi chiese: “Mamma?”. Si è ammalata, ha avuto un incidente, ma presto starà bene piccolo mio, gli risposi. Ernest, figlio adorato, c’è qualcosa di male qui attorno, ma ti proteggerò. “Babbo, il male qualcuno lo deve portare”. Ecco, qui ebbi l’illuminazione, tutto mi fu chiaro!”
“Tutto chiaro? In che senso?”
“Il male è parte del mondo in cui siamo immersi, come il bene, non è nemmeno una scelta, è una realtà. Qualcosa si era concentrato da noi e doveva sfogarsi, qualcuno doveva placarlo, per qualche motivo Ernest se lo era caricato, se volevo salvare la mia famiglia dovevo assumermene io il carico e farlo sfogare altrove, in altra maniera, ecco come sono diventato il Randagio”
“Non ho capito, mi spieghi meglio per favore”
“Dovevo portare la malvagità altrove e farla sfogare in altra maniera, dovevo essere io il portatore del fardello. Assunsi una infermiera che badasse Sarah e accudisse Ernest mentre mia moglie si riprendeva e partii. Mi recai in una grande città, presi posto in un piccolo motel della periferia più degradata. Per qualche notte esplorai i dintorni di notte, mi feci una idea dei movimenti e delle persone che bazzicavano, poi colpii. Una notte mi vestii in maniera comoda e comune, mi calai il cappuccio sulla testa dirigendomi verso una zona malfamata frequentata da senzatetto. Ne scelsi uno isolato e lo uccisi, gli affondai il coltello nella gola, e me ne andai. Era una cosa orribile, ma la disperazione mi dette la forza di provare questa strada. Tornato in albergo piansi tutta la notte. Poi il mattino tornai a casa.”
“E cosa trovò?”
“Tutto tranquillo, non era successo niente, i polsi di mia moglie erano guariti, lei era raggiante, mi accolse e facemmo l’amore come una volta. L’infermiera mi disse che era tutto a posto e se ne andò senza problemi. Ernest giocava come un bambino normale. La nostra vita era tornata normale, ma la maledizione era passata a me”
“Ma a quel punto come è andata avanti la sua storia?”, il Narratore era incuriosito come poche volte gli era successo.

“Il male va alimentato, nutrito, non potevo pensare che fosse bastata una volta. Diventai, per l’appunto, il Randagio. Assunsi nuovamente un soprastante e dei braccianti, io ogni tanto andavo in giro per grandi città, sceglievo obiettivi, innocenti, come lo eravamo stati noi, li uccidevo e saziavo la fame del male. Una volta era una prostituta, un’altra un senzatetto, ogni volta sacrificavo un pezzo della mia anima sull’altare dell’abisso nero. Avevo riportato la pace a casa mia, ma avevo dannato per sempre me stesso.”
“Non l’hanno mai scoperta?”
“Erano sempre vittime in città lontane una dall’altra, scelte tra quelle cui non importava a nessuno. Le indagini si chiudevano sempre senza grandi patemi da parte delle autorità. Nessuno ha mai collegato le cose, in quegli ambienti la morte e la violenza sono all’ordine del giorno. Ripulivo il mio spirito con pianti profondi, che diventarono più rarefatti con il tempo, il mio cuore si induriva diventando di pietra per permettermi di continuare nella mia opera.”
“Comprendo, storia tremenda, ma ora siamo qui per un motivo?”
“Tutto quello che le ho raccontato si è svolto nell’arco di decenni”, l’uomo appariva più anziano e piegato su sé stesso ogni momento di più.
“Quante persona ha ucciso?”
“480, me le sento tutte dentro. Una al mese per 40 lunghi anni, un giorno orribile al mese per viverne 29 sereni”
“E adesso?”
“Oggi compio 80 anni, la mia amata Sarah mi ha lasciato qualche mese fa, da allora ho smesso di saziare il male. Ernest si è trasferito all’estero, vive felice, ha una bellissima famiglia, un lavoro che ama. Non gli è successo niente, evidentemente la fame di dolore è stata colmata e mio figlio è al sicuro. E’ giunta l’ora che io nutra l’oscurità per l’ultima volta, con me stesso, e richiuda definitivamente l’abisso che si aprì allora e riporti il male da dove è arrivato. E’ venuta ora che il Randagio smetta di esserlo e trovi dimora fissa.”

Il Narratore fissò l’uomo con la mano che impugnava la penna sospesa a mezz’aria. Poi scrisse alcune frasi in calce al racconto del Randagio che aveva diligentemente trascritto nel suo libro delle anime. Vergò con uno svolazzo la sua sigla e girò il volumetto verso l’altro uomo porgendogli la penna e invitandolo a firmare a sua volta. Il Randagio rimase qualche istante a fissare alternativamente la penna e il libretto, poi firmò con moto nervoso e richiuse le pagine. Il Narratore riprese il quadernone, afferrò la lingua di cuoio fissandola con l’automatico, poi si alzò e rivolgendosi all’uomo, “Randagio, è stata una bella storia”. Non aggiunse altro, e dopo un breve sguardo scambiato con lui si girò dirigendosi verso l’uscita, mentre il Randagio chiudeva gli occhi un’ultima volta cercando la pace che non aveva avuto, se non in parte, sulla Terra.

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