IL NARRATORE e il pastore

 


Il sentiero si inerpicava stretto tra i prati incolti, alla sua destra svettava la montagna, ingrigendosi man mano che ci si avvicinava alla cima, dove solo sparute piante e licheni avevano presa tra rocce e sassi. A sinistra i boschi di conifere si inspessivano scendendo a valle, una macchia scura che si allargava andando a lambire i paesi al limitare del bosco. L’uomo si fermò a rifiatare ammirando il panorama, appoggiò la borsa di pelle nera a terra, così fuori luogo in quel contesto, ma altrettanto indispensabile per svolgere la sua opera. Si deterse il sudore dalla fronte aprendosi il trench in modo che l’aria portasse sollievo, il Sole era alto e faceva sentire tutto il suo calore. A chiunque fosse in osservazione sarebbe sicuramente parso inconsueto un personaggio con queste fattezze sulle pendici di una montagna. Un’eleganza davvero fuori luogo, il completo fumo di Londra con cravatta regimental e il trench kaki sopra, l’unica concessione alla morfologia erano scarpe da trekking in luogo di calzature da passeggio cittadine, che sicuramente si sarebbero rivelate quanto mai inadatte.

Riprese infine il percorso dopo avere bevuto un sorso di Genepy dalla fiaschetta che teneva sempre nella tasca interna del trench, e dopo qualche centinaio di curve vide finalmente l’oggetto del suo viaggio. Seduto su un ceppo d’albero tagliato sedeva un uomo di età indefinibile, ma a cui avresti dato 70 anni, era perfettamente inserito nello stereotipo del pastore che ci si immagina. Pantaloni di fustagno, scarponi d’alpeggio dall’aspetto vissuto come chi li calzava, una camicia rossa con righe nere, un gilet in pelle d’agnello. Le sopracciglia folte e bianche quasi nascondevano gli occhi scuri, i capelli bianchissimi erano lunghi e si muovevano al vento, continuava a masticare qualcosa con espressione assente mentre guardava un gregge di pecore intorno a lui. Un grosso cane pastore al suo fianco si alzò drizzando le orecchie e iniziando ad abbaiare contro l’uomo in trench, che continuò ad avanzare sorridendo arrivando nei pressi del pastore.

“Buonasera”, disse rivolto al pastore appoggiando contemporaneamente la cartella di pelle nera a terra.
L’altro uomo strinse gli occhi fissandolo, il cane fece silenzio rimettendosi disteso a testa bassa ai piedi del padrone. Poi parlò, “Buonasera a lei”, continuò a masticare fissandolo, “e lei sarebbe?”
“Io sono Il Narratore”, rispose l’uomo con il trench sedendosi sopra un ceppo di fronte al pastore.
Questi fece un cenno di assenso con il capo, “La aspettavo”
“Non mi pare di averla avvertita del mio arrivo”
“Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato qui. Cosa vuole sapere?”
“Io sono Il Narratore, raccolgo storie nel mondo perché non spariscano nella nebbia del tempo, so che lei ne ha una da raccontare”, rispose mentre prendeva fuori un grosso libro e un quaderno a righe su cui era fissata una penna dal manico in avorio.
“Può darsi”, rispose il pastore dopo qualche minuto in cui solo il soffio del vento aveva rotto il silenzio irreale che si era creato.
Il Narratore aprì il grosso volume e scorse le righe cercando qualcosa, poi si illuminò trovandolo, “Eccola qui, mi conferma che lei si chiama Ernst Margold?”
“Mi chiamavano così”
“Ed è corretto quindi che lei ha 35 anni compiuti proprio oggi?”
“Così è scritto”, rispose secco, “non mi fa gli auguri?”, aggiunse ridendo.
“Io sono Il Narratore”, si avvicinò a pochi centimetri dal viso del pastore, “se quello che cerca è un maestro di cerimonie ha sbagliato”. Poi estrasse la fiaschetta del Genepy e gliela porse dopo averla aperta, bevvero assieme scambiandosi un sorriso. 


Il pastore ne bevve un lungo sorso, si asciugò la bocca con il braccio emettendo un grugnito soddisfatto e restituì la fiaschetta al Narratore. Rimase in silenzio con lo sguardo perso verso le montagne di fronte, “Lei pensa che li porti male i miei anni?”, disse con tono beffardo.
“Diciamo che tutto lo fa pensare, ma se così non fosse non sarei qui”

“Sono passati undici anni, ne avevo 24, ero giovane, anche adesso lo sono anche se non sembra”, il tono si fece amaro, “facevo il barista in elegante pub del centro, ero sempre a contatto con le persone e le ragazze non mi mancavano come può immaginare, ma c’era sempre qualcosa che non mi soddisfaceva del tutto. Ero sempre inquieto, passavo da un letto all’altro senza sosta, poi una sera arrivò lei”, il pastore smise di parlare mentre gli occhi improvvisamente si accesero al ricordo che sgorgava dal profondo.

“La vidi entrare”, ricominciò a parlare il pastore, “avrebbe dovuto vederla, in mezzo quelle ragazzine era come una pecora rossa in mezzo al mio gregge”, con la mano indicò gli ovini sparsi di fronte a loro nel prato.
“Vada avanti, la prego”, il Narratore continuava a scrivere sul suo quaderno, la moderna tecnologia dei registratori non faceva evidentemente parte del suo bagaglio.
“Era splendida, un’altra al suo posto sarebbe stata eccessiva, ma lei era perfetta. La rivedo ogni giorno, una minigonna di pelle cortissima, calze nere a rete, ai piedi portava due decolleté, si girarono in tanti a vedere come si muoveva agilmente sui tacchi. Ci sono donne che ancheggiano, cadono, lei sembrava esserci nata”, il pastore tornò a fermarsi perso nei meandri del passato, le rughe sembravano aumentare mentre ripescava il passato.
“Era da sola?”, chiese il Narratore.
“Esatto, arrivò al bancone e si issò su di uno sgabello, i capelli biondi caddero sulle spalle, aveva due occhi azzurri pieni di rabbia. Le chiesi cosa potevo darle da bere, lei mi guardò poi guardò le mensole delle bottiglie alle mie spalle”
“Cosa mi consiglia?”, chiese infine.
“Dipende per cosa deve bere”
“Sono furiosa e devo farmelo passare, qualcosa di forte?”
“Forte e di classe direi, per una donna come lei”, aggiunsi galantemente, poi presi una bottiglia di gin e le riempii il bicchiere. Lei lo guardò, poi lo buttò giù tutto di un fiato, divenne rossa.
“Andrebbe gustato con calma”, le suggerii.
“Con calma? Lei non beve? Mi faccia compagnia, odio bere da sola”
“Non possiamo servirci dal banco”, risposi.
“Pago io, me ne dia due e uno mi insegni come si beve”, così feci.
“Buffo, era la prima volta che mi facevo pagare da una donna. Presi il mio bicchiere e ne bevvi un sorso tenendolo in bocca per assaporarne tutto l’aroma. Così si fa, vede? Lo tenga in bocca perché il sapore si sciolga”, le dissi. La donna mi dette retta, l’espressione le si addolcì, mi sorrise mentre accavallava le gambe, “Dio, provi a immaginarsela, forse non fu elegante, ma non riuscivo a staccarle gli occhi dalle cosce, quello fu l’inizio della fine”
“Ha ragione, così e tutta un’altra cosa, veramente gustoso” 

“Un liquore di classe per una donna di classe”
“Non mi prenda in giro”
“Posso chiederle cosa ci fa una donna come lei qui?”
“Non è detto che le risponda, ma può provarci”
“Posso provarci?”, ammiccai. Lei rise, era bellissima.
“Non sia sciocco, provarci a chiedermelo, potrebbe essere mio figlio”
“Ma non lo sono”, risposi riempiendo nuovamente i bicchieri, “quindi com’è che si trova qui?”

“Mio marito mi ha fatto veramente infuriare stasera”, l’espressione si rabbuiò, evidentemente a ripensarci la rabbia le saliva, “dovevamo uscire a cena, un’occasione fissata da tempo, con i miei parenti, una di quelle cose che se non ti presenti fai una figuraccia, poi ci tenevo, e lui sapeva quanto ci tenessi. Mi ero andata a comprare un abito appositamente per la serata”

“Immagino non fosse quello che indossa adesso”, le dissi sorridendo mentre riempivo i bicchieri per la terza volta.

“Mi vuole fare ubriacare?”, mi chiese con tono divertito, “Già qui fa un gran caldo”, aggiunse aprendosi il chiodo di pelle.

“Vidi che sotto indossava un top di pelle, era la donna più sexy che avessi mai visto. Vestita sexy, ma con la maturità di una donna nel pieno della vita, d’altronde aveva un fisico perfetto” 

“No, no, mio marito arriva e dice che è stanco, aveva lavorato tanto, poi era andato a correre. A correre? Ma santo cielo, dobbiamo uscire a cena e vai a correre? Va bene, ma poi mi dici che per questo non usciamo più? Io pensavo stesse scherzando, lo facesse per gioco, no, lo stronzo non voleva più uscire, quando me ne sono resa conto non ci ho più visto. Se fossi andata da sola sarebbe stato peggio. Ho telefonato avvertendo, adducendo un improvviso malanno della baby-sitter, poi l’ho guardato e ho visto la sua espressione soddisfatta. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso!” 

“Ha anche dei figli?”

“Due”

“Non si direbbe”, replicai riempiendole il bicchiere, lei mi sorrise guardandomi complice, “ma mi racconti, così è saltata la serata?”

“Mi sono tolta l’abito nuovo e l’ho gettato sul letto, poi ho aperto l’armadio, intanto gli stavo dicendo di tutto”, rise, “sei proprio uno stronzo, vuoi dormire? Resta pure a letto, ma io esco e vado a divertirmi, ho guardato dentro e ho trovato queste cose, penso di non averle mai messe, ma volevo farlo schiattare. Se non sai apprezzarmi guarda cosa ti perdi, più o meno è quello che ho pensato, capisce cosa intendo?”

“Perfettamente, suo marito è stato veramente orrendo, se posso permettermi, ma mi lasci dire che vestita così è veramente straordinaria”, la donna mi sorrise condiscendente.
“Dica pure eccessiva, non ci sarei mai uscita così se non gliela avessi voluta fare pagare, volevo si rodesse a casa”
“Suo marito non sa cosa si è perso”, lei iniziò a cercare nella borsetta, poi fece un’espressione corrucciata.
“Per caso ha una sigaretta? Le ho lasciate a casa, vede cosa fa la rabbia e la fretta? Non so cosa darei per fumare adesso”
“Qui dentro non si può fumare, ma devo fare pausa, se vuole uscire un attimo gliela do io, comunque la bottiglia è finita”, conclusi ridendo.
“Grazie” 

Mi girai verso la collega che lavorava con me e l’avvertii che andavo in pausa, poi uscimmo mentre le tenevo una mano sulla schiena, il solo tocco mi trasmetteva una scossa elettrica in tutto il corpo. Le tenni aperta la porta e uscimmo in strada, a quell’ora di una notte feriale era deserta, solo luce di un lampione portava chiarore, il tutto aveva un’atmosfera affascinante, ma io oramai ero perso. Tirai fuori il mio pacchetto e gliene porsi una.
“Grazie”, mi rispose, poi la guardò meglio, “ma mi scusi, è una canna?”

“Non fumo le sigarette, la nicotina ti ammazza, questa è buonissima e non fa male, è leggera non si preoccupi”. Lei la rigirò tra le dita fissandola. “Una canna? E’ la prima volta, ma d’altronde stasera pare che tutto succeda per la prima volta, mi faccia accendere” Restammo in silenzio per un poco, “E’ buonissima questa roba, mi sento molto bene, grazie” Mi avvicinai a lei, “Grazie a lei, ha reso questa notte indimenticabile”, le dissi, ora eravamo con i nostri corpi a contatto. “Lei mi fissò, poi come in sogno vidi le sue labbra avvicinarsi alle mie, quando mi baciò fu come una frustata, la cercavo con le mani, sentii la rete delle sue calze, poi le aprii il chiodo e la bacia sotto al collo, lei emise un piccolo ansito, non ci vidi più, era tutto troppo bello”, il pastore tornò a fermarsi, perdendosi tra i ricordi e le vallate che avevano di fronte.

Il Narratore continuò a scrivere velocissimo, le sue mani si muovevano in modo quasi irreale vergando parole su parole, frasi concatenate, senza mai fermarsi o correggere un errore. “Una storia appassionante”, disse, “vada avanti”.
L’uomo si riscosse come da una trance e riprese a parlare, “La presi per mano e lei mi venne dietro senza porre resistenza, aprii la porta di servizio che portava nei locali di servizio, percorremmo il corridoio ed entrammo nel piccolo bagno per i dipendenti che avevamo nel retro. Il gin, il fumo, tutto si era mescolato nei nostri corpi, le tolsi il chiodo e lo gettai a fianco, poi le sfilai il top di pelle mentre lei mi apriva la camicia, vidi il suo reggiseno e mi tuffai suoi seni come se non ci fosse domani”, gli occhi del pastore lanciavano lampi, per quanto erano stati spenti fino a quel momento ora parevano quelli di un adolescente. “Le sollevai la gonna mentre lei mi faceva cadere i pantaloni a terra e facemmo l’amore selvaggiamente”, tacque, “ricordo tutte le posizioni che riuscimmo a provare in quello spazio angusto”. “Grazie”, mi disse mentre raccoglieva i suoi abiti, era rossa in viso, ma aveva un’espressione felice. In quel momento la mia collega mi chiamò, era finita la pausa, non potevamo farci trovare lì, “Aspetta, non sparire! Le chiedo tempo e torno subito”, le dissi mentre uscivo e andavo al bancone. “Dissi alla mia collega che non stavo bene e avevo bisogno di riposarmi ancora un poco, tornai nel retro, ma lei non c’era più. Corsi in strada, ma era deserta, percorsi le vie laterali in lungo e largo, non sapevo nulla di lei, nemmeno il nome, non avevo maniera di trovarla. Ero disperato, tornai al lavoro distrutto, in poco tempo ero salito in Paradiso e sceso all’Inferno senza nemmeno passare dal Purgatorio”, il silenzio cadde come una lastra di marmo su di loro, gli occhi del pastore si spensero, le palpebre si abbassarono.

Anche il Narratore si fermò, ripose le mani in grembo e attese, poi ruppe il silenzio, “Non l’ha mai più rivista?” “La cercai ovunque”, rispose il pastore, “chiesi dappertutto, guardai nei social, nulla di nulla, non mangiavo quasi più, dormivo pochissimo, speravo sempre di vederla riapparire. Quando non lavoravo andavo in giro, centri commerciali, guardavo dalle vetrine dei ristoranti, niente, era sparita come era apparsa. Intanto ogni giorno mi pesava come un mese, invecchiavo senza rendermene conto. Poi un giorno successe, ero al bancone quando la vidi entrare”. 

“Davvero? Racconti!” “Era con il marito e i due figli, i capelli raccolti, un abito normalissimo, non aveva niente della donna che avevo conosciuto, per un attimo mi chiesi se fosse veramente lei, ma non potevo sbagliarmi. Mi presi l’incarico di servirli, mi avvicinai al tavolo con il cuore che batteva a mille, mi immaginavo di tutto, e invece niente.”
“Come niente?”
“Fu come se non ci fossimo mai conosciuti, ordinarono, rimasero al tavolo per tutta la cena, non ebbi mai l’occasione di scambiarci una parola da soli. Vidi che stavano bene, l’atmosfera era serena, non avevano lasciato nomi e pagarono in contanti, come se fossero capitati lì per caso, e forse era così. Magari il marito aveva scelto il nostro locale per caso. In seguito cercai ancora e ancora, ma non ci fu più nulla da fare. Caddi sempre più in basso, lasciai il lavoro, gli amici, le donne, venni a rifugiarmi qui dove ho trovato la cosa più simile alla pace che potessi immaginare”.

Il Narratore concluse la sua frenetica scrittura, poi porse il quaderno al pastore facendogli fare una firma in calce, appose anche lui la sua sigla a suggello e si alzò.
“Devo rientrare, una storia dolorosa che ha regalato momenti bellissimi però restano molte domande irrisolte, ma trovare risposte non è compito del Narratore. La ringrazio del tempo e della storia”, ripose tutto nella sua borsa di pelle nera, la prese in mano e senza aggiungere altro riprese il sentiero in direzione opposta, scendendo verso valle.
Alle sue spalle il pastore chiuse gli occhi per l’ultima volta nella sua vita, e finalmente raggiunse la pace che tanto aveva agognato. 

 


 

 

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