Una vita, mille vite

Prologo

Si alzava al mattino sapendo che gli sarebbe mancata, tanto, troppo, in maniera assillante, per quanto? Quanto poteva durare il dolore? Un giorno? Una settimana? Un mese? Un anno? Tutta la vita? Lasciava che le giornate gli cadessero addosso senza lasciare traccia, come acqua tiepida che scivola addosso senza un brivido.

Cielo e mare parevano unirsi in un unico abbraccio, nuvoloni neri ed onde furiose si parlavano e si intrecciavano, il vento sferzava il viso di Sebastian scompigliandogli i lunghi capelli, le rughe parevano ispessirsi ancora più , scavate dallo scalpello del dolore. Egli ripensava alla partita doppia della sua vita, una delle tante avrebbe potuto dire, un bilancio che pendeva pericolosamente da una sola parte, perché tutto quello che aveva se lo era sempre dovuto guadagnare, tanto aveva dato, niente ricevuto. Come se lo avesse ascoltato il vento ululò rabbioso, stanco, Sebastian girò le spalle e si diresse verso casa.
La tempesta era evaporata con la stessa velocità con cui era esplosa, era quel momento della giornata in cui il sole è una lama che taglia cielo e vita a metà, sospeso sopra la linea dell'orizzonte resisteva all'attrazione dell'oceano che aspettava di ingoiarlo. L'armonico disordine dei colori del tramonto riempiva ogni angolo, ogni anfratto, ogni onda, ogni piega delle anime al suo cospetto. Il suo sguardo puntava verso un punto fisso visibile solo a se stesso, solo alcuni lievi battiti della palpebra dimostravano come ci fosse vita nel corpo, mentre dietro le pupille si intravedeva lo sconfinato deserto della sua anima.

Girò lo sguardo su Marian, la donna era affondata mollemente tra i cuscini di una chaise longue, gli dava quasi le spalle, il suo profilo scuro contrastava con il furore accecante del sole che si ribellava alla fatale attrazione degli abissi del mare con tutte le sue forze, le domande si affollavano inevase una dietro l'altra, si era presentata pochi giorni prima, sperduta, infranta nello spirito, la donna che un tempo gli aveva spezzato le ali ora era lì, a chiedere un nido, un rifugio sicuro, ancora, senza una risposta, senza un perché, non c'erano state domande, solo silenzi densi di risposte, ci sarebbe stato tempo per parlare.
Riportò gli occhi sul promontorio che delimitava la baia, le cui rocce rosse assumevano un aspetto lavico sotto i raggi dell'ultimo sole, era probabilmente la parte più bella e caratteristica di Sunshine Island, il nome derivava dal taglio perfetto delle scogliere di questo promontorio, non erano frastagliate come ci si potrebbe aspettare, ma i fianchi si tuffavano nel mare in maniera netta, levigati da una particolare combinazione di forza del vento e del mare, le pareti cadevano a picco fra le onde come la lama di una spada, lisce, non ospitavano neanche nidi di uccelli, forse solo qualche lucertola poteva trovarcisi, ma anche questo era dubbio.

Notò un lieve movimento nel corpo di Marian, percorse rapito il corpo della donna scuro sullo sfondo accecante, ne conosceva a menadito ogni centimetro, la perfezione assoluta simbolo della creazione, le ciocche ribelli con cui lei amava giocare quando erano assieme, malgrado ogni movimento oramai gli causava un dolore sempre più intenso, oramai tutto questo apparteneva ad un passato che non sentiva più suo. Si alzò, raccolse una leggera coperta di lana scura e avvicinatosi gliela posò addosso fermandola sui lati per evitare che il vento la scoprisse, solo un lieve fremito di piacere diede ad intendere che nel sonno avesse apprezzato l'improvviso calore che le era stato donato, le scostò i capelli dal viso intravedendone un sorriso e con la mente iniziò ad andare a ritroso nel tempo.

Marian sentiva lo sguardo di Sebastian addosso, gli occhi chiusi, il corpo completamente immoto, passava dal sonno fingere il sonno, sapeva che Sebastian, il solito Sebastian, avrebbe aspettato che lei fosse pronta, ma sentiva il suo sguardo addosso, ne aveva provocato, goduto, sofferto, ogni lieve declinazione, dall'espressione adorante che l'aveva conquistata tante volte, a quella intrigante che le scendeva lungo i seni, da quella gelida dei momenti che la voleva ignorare, se non proprio disprezzare, a quella furiosa di quando riusciva a scatenare la parte più oscura di lui. Adesso se lo sentiva addosso, caldo come sempre, interrogativo, premuroso, un bozzolo protettivo che la faceva sentire tanto bene, quanto in colpa. Sentiva il calore scemante del tramonto, i riflessi del cielo infuocato filtrare nelle palpebre chiuse, lo sfrigolio delle onde sul bagnasciuga, le grida stridule dei gabbiani, poi la brezza, quella brezza che sempre la faceva rabbrividire le ossa, poi sentì un movimento felpato, gentile, conosciuto al fianco, una coperta che le veniva avvolta addosso con infinita delicatezza, un tocco lieve che le sistemava le ciocche e poi il sonno finalmente, un sonno profondo e ristoratore, finalmente.

Notò un lieve movimento nel corpo di Marian, percorse rapito il corpo della donna scuro sullo sfondo accecante, ne conosceva a menadito ogni centimetro, la perfezione assoluta simbolo della creazione, le ciocche ribelli con cui lei amava giocare quando erano assieme, malgrado ogni movimento oramai gli causava un dolore sempre più intenso, oramai tutto questo apparteneva ad un passato che non sentiva più suo. Si alzò, raccolse una leggera coperta di lana scura e avvicinatosi alla chaise longue, gliela posò addosso fermandola sui lati per evitare che il vento la scoprisse, solo un lieve fremito di piacere diede ad intendere che nel sonno avesse apprezzato l'improvviso calore che le era stato donato, le scostò i capelli dal viso intravedendone un sorriso e con la mente iniziò ad andare a ritroso nel tempo.


L'origine del male

Sebastian si sentiva come se avesse vissuto infinite vite, si rivide in quella che definiva la sua prima esistenza, bambino in Austria, fra le Caravanche, quando al riparo degli spessi vetri della sua cameretta guardava le vette che sovrastavano casa sua, con il fuoco scoppiettante inquieto alle spalle, il vento scendeva impetuoso dalle montagne ululando, piegando l'erba e spezzando i rami più deboli delle conifere,  il ruggito della natura invadeva la vallata prendendone orgogliosamente possesso. In quel fragore tonante fissava il bosco di fronte, si adagiava sotto la cima più alta, mentre tutto intorno il mondo era piegato dalla tempesta, il bosco si stagliava, nero, una maestosa unica macchia di alberi scuri, immoto, silenzioso, appariva stridente la linea fissa dei pini e degli abeti nel turbinio che circondava il panorama circostante. Lì regnava il dio silenzio, Sebastian non poteva fare a meno di fissarlo affascinato, irrimediabilmente attratto da questa misteriosa, evidente, apparentemente inspiegabile, anomalia. Il divieto di avvicinarvisi era assoluto, non contestabile, suo padre, era stato irremovibile su questo. Senza spiegazioni, senza se e senza ma. Forse anche per questo l'attrattiva di questo luogo era così alta. Nello splendore della natura imbizzarrita il bosco lo fissava, lo chiamava e lo respingeva allo stesso tempo. Vincendo il desiderio che lo attirava in maniera così totale Sebastian si diresse verso il letto.

Fermo davanti al bosco Sebastian sentiva il richiamo fortissimo del bosco, lo aveva sentito in camera sua invocare  il suo nome, lo aveva sentito mentre scendeva le scale e percorreva il vasto, lungo, sconfinato prato che lo divideva da casa sua, i filari di meli che contornavano il pianoro sembrava si agitassero per fermare la sua marcia verso il bosco, ma inutilmente. Giunto al limitare il vento era perfino aumentato di forza, l’erba era schiacciata a terra, le fronde dei meli gorgogliavano furiose, ma gli abeti del bosco lo fissavano senza che un solo ago, una sola foglia, un solo ramo, si muovessero. Il piede destro si alzò per compiere l’ultimo passo, l’immaginario confine che delimitava il bosco lo attirava magneticamente con una forza senza eguali, nessun divieto paterno, nessuna arcana prudenza riuscivano a fermarlo.

“Io non lo farei ragazzo” esclamò una voce decisa quanto suadente, Sebastian sobbalzò e si girò di scatto verso la direzione da cui era venuta. Un uomo anziano, di un’età indefinita, poteva avere 100 come 1000 anni, stava seduto su una vecchia sedia di paglia alla sua destra, le grinze del suo viso erano leggermente oscurate dalla falda del cappello che portava, l’abbigliamento era inappuntabile quanto dimesso, pantaloni, camicia, panciotto in tinta beige, una cravatta verde gli cingeva il collo ed una giacca spigata completavano il tutto, fra le mani stringeva un usurato bastone con il manico ricurvo. Il suo sguardo vacuo fissava Sebastian con bonomia. Ripresosi, si scostò dal bordo del bosco come se ci fosse stato un muro di fiamme, l’urlo silenzioso del bosco privato della sua vittima all’ultimo momento squarciò la vallata. “Buongiorno signore”, disse il ragazzo, “chi siete? Cosa fate qui?”,
“Abito in quella casa là in fondo” affermò il vegliardo con occhi vacui persi nel nulla,  “Devi stare attento a dove vai ragazzo, ci sono cose che non conosci del mondo, tuo padre dovrebbe averti avvertito di non venire in questa parte della vallata”.
“Stavo solo facendo un giro, niente di che”, rispose con noncuranza Sebastian, poi, girandosi dalla parte opposta, guardò la casa di cui parlava l’anziano, i muri erano sbrecciati, l’edera fitta ricopriva le pareti come un mantello verde, sul tetto foglie e paglia la facevano da padrone, “cosa crede? So badare a me stesso!!”, riportò lo sguardo verso il vecchio, ma dove prima c’era l’anziano con la sedia adesso solo il prato lo fissava sorridendo.

Rientrato a casa trovò la madre che preparava la cena, fuori il padre tagliava ceppi di legno per la stufa, Anton si fermò fuori a guardare il padre sistemando i pezzi per il camino nella legnaia, “Sai” disse, ho fatto un lungo giro per la vallata oggi pomeriggio”, il padre piegato con l’ascia in mano si irrigidì leggermente, “davvero? E hai visto cose interessanti? Mi pareva di averti detto di stare alla larga da quella zona, è piena di trappole di bracconieri e buche”.
“Sono stato attento, so dove le mettono e guardo dove metto i piedi” rispose pretenziosamente, “ho incontrato anche un vecchio”.
“Un vecchio?”, rispose il padre, “ma quella zona è disabitata da anni”.
“Ti sbagli”, disse Sebastian, “c’era un anziano lì, ha detto che abita nella vecchia casa sulla sinistra del bosco, quasi sotto il costone”.

“Sebastian”, disse guardandolo pensieroso, “in quella casa ci abitava il vecchio Josef, ma è morto tanti anni fa, si può sapere cosa stai raccontando?”.



Helga

Il lavoro di suo padre lo portava continuamente in giro per l’Europa, Sebastian cominciò presto ad accompagnarlo compatibilmente con la scuola, iniziò a prendere confidenza con lingue e modi di vita, luoghi in ogni dove. Spesso si muoveva da solo mentre il padre era impegnato tra incontri e riunioni, quella sera erano al confine tra Svizzera e Germania, la Foresta Nera l’aveva sempre affascinato richiamandogli i luoghi natii. Il ristorante dove suo padre l’aveva portato era nel pieno di un bosco fitto e scuro, le trote provenienti dal torrente che scorreva proprio a fianco erano deliziose, tanto quanto Helga, la figlia di uno dei commensali con cui suo padre parlava di lavoro. Sebastian era rimasto incantato dai suoi occhi celesti, i lunghi capelli biondi, i lineamenti perfetti ed il candore della pelle, e lei ricambiava con evidente interesse. Lui le prendeva la mano, lei arrossiva nel suo candore adolescenziale; uscirono dal locale tenendosi per mano ridendo e scherzando. Sebastian la condusse con studiata noncuranza lungo il ruscello, le fronde che si muovevano in alto, il fremito dell’acqua a fianco, lo splendore della Luna piena, tutto contribuiva a creare un momento magico.

Si distesero nell’erba soffice, un tappeto di foglie faceva da materasso improvvisato, le labbra di Helga erano calde ed umide, con le mani assaggiava le curve della ragazza, continuavano a toccarsi con timida passione e bocche ardenti. Sebastian la baciò sul collo piegandosi di lato ed in quel momento lo vide, l’uomo era in piedi, elegantemente vestito, le mani in tasca, il bavero della giacca tirato su, un cappello in testa gli faceva ancora più ombra sul viso, appoggiato ad un albero li fissava con un misto di interesse e curiosità. Sebastian sobbalzò tirandosi, sul momento pensò fosse uno dei commensali colleghi di suo padre che era uscito a fumare ed era capitato proprio lì, nulla lasciava pensare a possibili pericoli.

Si fissarono per un attimo che parve eterno mentre le mani di Helga gli frugavano ansiose tra i capelli, l’uomo ricambiò lo sguardo, il buio e l’ombra delle falde del cappello floscio che indossava gli impedivano di scorgerne i lineamenti. Un misto di rabbia e paura gli montò dentro, fece per alzarsi ed andare a dirgliene quattro, quando l’uomo si girò prendendo con studiata lentezza la via del bosco “Chi sei?” gli gridò dietro.
L’ombra si girò rispondendo “Un mercante”, un raggio di Luna penetrò tra le folte fronde illuminandogli il viso per un attimo, al posto del volto c’era solo un buco nero con due fessure cremisi lucenti.

“Non sai più con chi sei?” gli chiese Helga guardandolo interrogativamente ed interrompendo il fluire dei suoi pensieri, riportò lo sguardo verso l’uomo, ma si vedevano solo alberi, forse aveva sognato, comprese che la ragazza di nulla si era accorta, “Niente, niente, mi hai solo stordito, so benissimo chi sei” le rispose con un sorriso immergendosi nuovamente nel suo caldo abbraccio.


Il mercante di anime

Monaco di Baviera aveva un’aria particolare la sera, tra sballo e decadenza, il padre di Sebastian era andato ad una cena di lavoro, lui si era eclissato rinunciandovi, disse che avrebbe fatto due passi in zona. Il cielo bavarese era illuminato da una Luna piena che trasudava tra alcune nubi che si muovevano pigramente sotto le stelle, Sebastian consumò una cena frugale e veloce, a 14 anni il cibo non aveva particolarmente importanza nella sua vita intrisa di perenne inquietudine e curiosità. Uscito si trovò immerso in una brulicante umanità variegata man mano che si muoveva tra le strade cittadine, camminava senza una meta precisa, ma come spinto da una forza invisibile che gli indicava il percorso. Accanto a lui passavano ragazze bionde ed algide che gli ricordavano Helga, uomini eleganti accompagnati da donne in abito da sera, ragazzi vestiti di pelle e abiti consunti, ragazze che si muovevano come assorte in universi paralleli. Senza sapere come si trovò davanti ad una porta piccola e stretta, aperta lasciava intravedere una ripida scala che saliva nel buio, sopra l’uscio una lampada rossa dondolava al vento nervosa, una scritta gialla lampeggiante su sfondo rosso recitava “The Klub”. Iniziò a salire i gradini uno ad uno con cautela ed interesse, man mano che montava per la scala la musica che proveniva dal locale si faceva sempre più forte e distinta. In cima si trovò di fronte ad una porta a vetri malmessa piena di adesivi che si aprì senza problemi quando girò la maniglia immettendolo dentro il locale. Luci stroboscopiche e psichedeliche illuminavano debolmente il locale, alla sinistra si vedeva il bar, a destra un guardaroba con pochi abiti appesi ed una appariscente donna che masticava una gomma in modo poco raffinato. Una musica ossessiva ad alto volume assieme alle luci shockanti, contribuivano a creare un’atmosfera oppressiva all’insieme. Sui lati della stanza c’erano alcuni tavolini tondi con sgabelli a disposizione degli avventori, seduti stava una variegata mescolanza di razze e generi, molti stavano in silenzio bevendo alcolici e dondolando la testa. L’idea che fossero nella maggior parte sotto l’influsso di un miscuglio di droghe ed alcool non tardò a farsi strada nella mente di Sebastian. Imboccò una porticina sul fondo del locale slacciandosi il chiodo di pelle, un corridoio corto e stretto illuminato debolmente lo guidò in una stanza ampia da cui si dipanavano altre vie ed un cartello luminoso, rimasto appeso per puro miracolo su un solo lato, indicava la toilette.

Sui divanetti si vedevano ragazzi con i capelli colorati o la cresta, ragazze skinhead con vistosa bigiotteria da poco prezzo e vestiti slabbrati, calze a rete sfilacciate e stivaletti usurati, alcuni chiacchieravano pigramente, altri semplicemente stavano ad occhi chiusi, nel complesso nessuno gli prestava la minima attenzione. Dopo essersi guardato attorno intraprese un altro corridoio, il The Klub pareva una matrioska labirintica, arrivò in una stanza piccola sulla cui sinistra c’era una finestra dai vetri così sporchi che si faticava a vedere le luci della città. A destra un divanetto fatiscente ospitava un ragazzo intento a fare petting con la sua compagna, partner o più probabilmente occasionale infermiera dello spirito, malgrado non lo avessero degnato di uno sguardo si sentì in imbarazzo e si infilò nel corridoio successivo.

La scena successiva che gli si presentò dopo avere superato il solito corridoio opprimente in tutta fretta, aveva qualcosa di surreale ed inquietante. Appena entrato vide sulla sua destra una poltrona semi-sfondata su cui un ragazzo, sicuramente non maggiorenne, si era infilato l’ago di una siringa nel braccio destro, la testa era rovesciata all’indietro, sul viso aveva un’espressione estatica e raggelante. La cosa più incredibile era che di fronte a lui, su di una sedia totalmente fuori luogo nel contesto del posto, era seduto un uomo vestito elegantemente, le gambe erano accavallate, l’abito e la camicia perfettamente neri così come le scarpe di vernice. L’uomo non faceva assolutamente niente, guardava con pacato interesse il drogato di fronte a lui, come se attendesse l’ineluttabile conclusione, i suoi occhi erano neri ed emanavano uno sguardo vacuo, i lineamenti regolari e distesi. Sebastian non potette fare a meno di chiedersi se stesse sognando o se si trovasse davvero in quel posto dall’apparenza così poco reale, per quanto di posti strani ne avesse già visti vari.

Sentendosi fuori posto, come se fosse presente ad una festa da non invitato, annusando il maleodorante odore della morte, fece un passo per andarsene quando l’uomo parlò rivolgendosi a lui
“Ciao Sebastian”
“Come fa a sapere il mio nome? Non mi pare ci conosciamo”, rispose Sebastian dopo essere rimasto in silenzio, paralizzato, per un paio di lunghi ed interminabili minuti.
“Ti sbagli mio giovane amico, ci siamo già incontrati varie volte, sapevo che ci saremmo rivisti qui. Ti aspettavo.”
Sebastian lo fissò aggrottando le ciglia, sforzando di scavare nella memoria, qualcosa affiorava nella sua mente, ma era indefinito e non riusciva a metterlo a fuoco, “Mi scusi signore, ma non ricordo veramente di averla mai incontrata”
“L’ultima volta eri sicuramente distratto dalla bella Helga, ragazza indubbiamente interessante, ma ci siamo incrociati anche prima mio caro.”
Il ricordo dell’uomo misterioso e dal viso senza volto che aveva visto nella Foresta Nera gli tornò in mente, aveva rimosso tutto convito di averlo solo immaginato, ma evidentemente così non era. “Ma lei chi è?” gli chiese con un pizzico di impazienza.
L’uomo guardò verso il ragazzo con la siringa piantata nel braccio, la bocca gli si era aperta leggermente, gli occhi spalancati, quindi si tirò su il polsino mettendo in mostra un costoso Rolex di cui studiò con attenzione la posizione delle lancette, come ad indicare che il tempo stringeva.
“Sono un mercante Sebastian, diciamo che tratto affari per così dire, particolari”
“E’ un trafficante di droga?”, gli chiese Sebastian spostando lo sguardo da lui al tossico.
“No, no, figurati, i trafficanti di droga sono sicuramente attinenti al mio incarico, ma non sono arruolato tra di loro, in verità non mi occupo nemmeno tanto delle persone, diciamo che sono più interessato alle loro anime che ai loro corpi”, e con un sorriso si girò verso Sebastian mostrandogli gli occhi che da neri erano virati da un rosso fuoco.

Sebastian lo fissò un attimo, poi si girò di scatto procedendo velocemente verso l’uscita, mentre accelerava sempre più il passo gli risuonarono nelle orecchie le ultime parole del Mercante “Ci rivedremo Sebastian, stammi bene”.

Parigi

Sebastian amava Parigi, per via del lavoro di suo padre passava intere settimane nella capitale francese, mentre il genitore alloggiava presso un albergo del centro, lui stava in una famiglia popolare della periferia. Aveva imparato a menadito tutti gli usi dei parigini, il loro cibo, i loro angoli più nascosti, Jacq e Marcel, i figli della coppia che l’ospitavano, erano poco più grandi di lui ed avevano stretto una profonda amicizia. Dormivano in camera assieme, vagavano per la città, loro lo avevano introdotto in molti luoghi sconosciuti ai turisti, bar fuori dai giri del grande turismo, frequentati da una variegata umanità che proliferava nella metropoli francese. Se apparivano come due ragazzi modello, in realtà erano due birbanti, conoscevano una infinità di individui particolari e posti segreti, si dilettavano in piccoli reati come taccheggi e piccoli furti, più per divertimento che necessità. La vita tra i grandi palazzoni della banlieue orientale era tutt’altro che divertente, per cui si spostavano verso il centro ed altre zone dove ci si poteva divertire. In una città come Parigi trovare passatempi non era certo difficile.

La serata spaziava dai sotterranei della Dèfense a dare fastidio ai passanti per poi farsi rincorrere da qualche guardia, alle esibizioni con lo skateboard a Palais Chaillot. La compagnia dove lo avevano introdotto i due amici francesi non era molto dissimile da loro, una piccola gang molto unita, nemmeno pericolosa, bevevano troppo, fumavano erba, curiosamente lui beveva pochissimo ed odiava il fumo, ma ancora più curiosamente questo invece di emarginarlo nel gruppo lo aveva fatto emergere come una sorta di guida. Perlomeno era quello che era sempre presente, aveva il controllo della situazione non essendo alterato, poteva spezzare una lancia nei confronti di qualche poliziotto trasformando un problema in una sgridata, era sempre disponibile ad ascoltare i guai di tutti. Le ragazze poi lo trovavano particolarmente affascinante, un austriaco che sembrava francese era qualcosa di esotico che solleticava il loro interesse, molto ben ricambiato da Sebastian.

Già, le ragazze, ma in particolare lui si era invaghito della figlia del referente parigino di suo padre. Proprio Marcus una sera aveva obbligato il figlio a lasciare stare gli amici e raggiungerlo in un noto locale del centro, “Sebastian, devi venire assolutamente, Armand, il mio collega che sta qui, verrà con la figlia stasera, non puoi lasciarmi da solo!”
Immusonito dal non poter partecipare alle scorribande della banda dei suoi coetanei si era recato al ristorante, prospettandosi già una serata noiosa, con l’ansia di scappare a raggiungere gli amici prima possibile. Poi aveva visto Veronique. Capelli lunghi biondi, una frangetta assurda come andava di moda in quegli anni, pantaloni e giacca blu su una camicetta rosa, conciliavano eleganza e bellezza, i suoi occhi bruni lo fissarono intensamente tra ciuffi di capelli. Rimase un attimo irrigidito, non era quello che si aspettava, era veramente una bellezza, lontana dalle ragazze del giro serale con cui passava le notti.
“Sebastian, piacere”, si presentò porgendole la mano
“Veronique, ciao”, fu la risposta, lei continuava a fissarlo con sguardo curioso ed indagatore, le loro mani si trattennero un poco più del necessario, poi si diressero con i genitori a tavola.
Mentre i rispettivi padri continuavano a parlare di lavoro, Sebastian e Veronique erano persi nei discorsi da adolescenti, guatandosi ed annusandosi nel perenne gioco della seduzione. Scuola, passioni, fumetti, musica, gli interessi erano molteplici e si incrociavano. La serata finì anche troppo presto per i loro gusti, una formale stretta di mano ne dichiarò la conclusione, ma fecero in tempo a prendere appuntamento per il pomeriggio seguente, visto che al mattino lei doveva frequentare il liceo.

Guardò distrattamente Monique che gli stava a fianco nel letto, conosciuta nel giro della banda lo aveva subito inseguito, il sesso con lei era stato da subito piacevole, selvaggia nel suo muoversi, la sua maglia larga lasciava le spalle scoperte, indossava ancora la gonna corta di jeans che si era solo tirata su per unirsi a lui, le calze a rete stracciate davano fascino alla sua decadenza, ma stasera il suo pensiero era con la raffinatezza di Veronique. Si alzò lasciandola dormire e si diresse in cucina dove trovò Marcel che si aggirava per casa imbronciato e molto nervoso, ai suoi tentativi di capirne il motivo risposero solo alcuni mugugni.
“Domattina andiamo al Mercato delle Pulci”, sentenziò Jacq.
“Non hai scuola?”, chiese Sebastian.
“No, diamo buca, domani è Marché aux Puces, vedrai…”, aggiunse Marcel con tono secco ed irritato.

La mattina salirono sulla metro a Gambetta e si diressero al mercato di Saint-Ouen, il mercato di Clignancourt gli spiegarono era il più grande ed autentico, poi ha delle particolarità che capirai quando ci saremo. Una volta sul posto si trovò di fronte ad una moltitudine caotica e disordinata di persone e banchi, negozi e stand, i due amici francesi vi si muovevano agilmente mostrando di conoscerlo a menadito, Sebastian mirava affascinato l’enorme varietà di oggetti di ogni tipo accatastati disordinatamente, od esposti in negozi per turisti. Jacq e Marcel lo guidarono tra un labirinto di bancarelle, difficilmente avrebbe saputo districarsene da solo, passavano da un negozio all’altro usando porte piccole e spesso nascoste, corridoi che portavano a nuovi mondi. I negozianti li salutavano, erano evidentemente ben conosciuti nel giro, in realtà sospettavo che molti dei frutti dei piccoli furtarelli dei miei amici finissero sui banchi di questi negozietti pieni di tutto. Dopo lunghe peregrinazioni varcammo l’ennesima porticina, ci trovammo in un negozio privo di finestre, gettai uno sguardo tutto intorno rimanendo di stucco,
“Entra e chiudi la porta Sebastian”, mi ordinò seccamente Marcel.
Feci quanto richiesto dedicandomi poi al luogo ove ci trovavamo, alcuni vecchi banconi di legno con vetrinette contornavano le pareti malmesse e macchiate di umidità, appese ai muri e nei vecchi espositori erano poste armi, di ogni tipo, da taglio e da fuoco, automatiche, rivoltelle, c’era solo l’imbarazzo della scelta. Marcel era al bancone stava trattando qualcosa con il negoziante, mi avvicinai a Jacq, “Ma perché siamo qui?”
“Marcel ha avuto da dire con dei tipi ieri, gente pericolosa, vuole tutelarsi”, mi rispose l’amico.
“Tutelarsi? In che senso?”, gli chiesi.
Jacq fece spallucce, “Vuole farsi trovare pronto nel caso serva”, poi ci avvicinammo entrambi al bancone.
Il venditore aveva un profilo famigliare anche se non riuscivo ad associarlo, stava mostrando una pistola a Marcel, “Questa è italiana, e la definirei letale, decisamente letale.”, espose con fare affettato porgendola a Marcel che la prese in mano iniziando a soppesarla. Seguì una breve e serrata trattativa sul prezzo in slang parigino, alla fine il tutto si concluse con una stretta di mano ed un passaggio inverso di denaro ed arma tra i due contraenti. Sebastian era preoccupato per la piega presa, ma come sempre si astenne dagli affari dei suoi amici, intanto il negoziante aveva tirato fuori del vino e ne aveva offerto ai clienti per festeggiare la conclusione dell’affare. Ancora qualche scambio di battute e si erano congedati salutandosi, mentre uscivano il venditore gridò un ultimo saluto “Arrivederci Sebastian, stammi bene!”
Mi fermai, non gli avevo detto il mio nome e nemmeno era mai stato pronunciato, come faceva a saperlo?
“Lei mi conosce? Non mi pare ci siamo mai visti”, replicai perplesso girandomi verso di lui.
“Ci siamo incrociati Sebastian, e penso che capiterà ancora in futuro”, rispose l’uomo con un vacuo sorriso accompagnandomi con gentilezza fuori dal negozio e chiudendosi infine dietro la porta. Riprendemmo a percorrere il dedalo di stradine e passaggi uscendo dalla zona e trovandoci nuovamente nel cuore pulsante del Mercatino, ora mi attendeva il pomeriggio con Veronique.

L’aveva aspettata all’uscita dalla scuola, un liceo di alunni di buona famiglia, zona centrale di Parigi, un veloce croque-monsieur guardandosi negli occhi, studiandosi a vicenda, poi a spasso per le vie della Ville Lumiére. Le risate e l’intimità crescente si erano presto trasformate in un passeggiare lungo la Senna tenendosi per mano, concludendosi il tutto con baci appassionato nei giardini del Lussemburgo. Era tutto fin troppo perfetto.

Nella sua camera, una delle tante della bella casa dove abitava nella zona bene della capitale francese, Veronique si guardava allo specchio, cercando i difetti nel suo corpo, presa dai tanti dubbi che tormentano gli adolescenti, Sebastian l’aveva colpita subito, contrariamente ai tanti spasimanti che sapeva benissimo essere interessati a lei tanto quanto a qualunque ragazza respirasse, lui si era veramente interessato a lei. Ma lei gli piaceva? Si girò di profilo corrucciata, forse aveva i seni troppo piccoli? Li tirò su con le mani ed il pensiero andò a come sarebbe stato se glieli avesse toccati quello strano ragazzo austriaco, sempre assorto in qualcosa che ancora non aveva ben compreso, un improvviso calore la invase, si girò e si diresse verso il letto.

La sera Veronique non aveva il permesso di uscire da sola, per cui Sebastian tornò a casa, trovò la famiglia in piena agitazione, Jacq sembrava una tigre in gabbia, “Cosa succede?” gli chiese.
“Marcel, non lo troviamo, non abbiamo notizie, dicono ci sia stata una sparatoria in zona, ma non sappiamo dove e se c’entra qualcosa.”
“Andiamo a cercarlo”, suggerì Sebastian all’amico preoccupato per il fratello.

Il vicolo dove si era acquattato era sporco e puzzolente, ma almeno gli dava una possibilità pensò Marcel, si fece ancora più piccolo dietro i bidoni della spazzatura ove si era nascosto, passi veloci ed un parlottio affannato gli arrivarono addosso come una folata, la mano gli andò istintivamente in tasca stringendo con forza la Beretta.

Jacq e Sebastian iniziarono a girare per il quartiere chiedendo a tutti quelli che incontravano, era un piccolo mondo dove tutti si conoscevano, infine seguendo rumori e sirene arrivarono in una piccola piazzetta poco lontano. Trovarono una scena drammatica, la polizia aveva transennato la zona, un’ambulanza era ferma sul fianco opposto al loro, la folla si era assembrata sul cordolo di nastro teso.
“Cosa succede?”, chiedemmo ai presenti.
“Una sparatoria, pare ci sia un morto”, ci risposero,
“Oddio”, mormorò Jacq, “Marcel…”, ci facemmo largo tra la folla arrivando al nastro, per terra una barella era occupata da un corpo coperto da un telo, trattenni a forza Jacq che si stava precipitando dentro per andare a scoprire il deceduto. Per fortuna un uomo in borghese si chinò sulla salma e ne scoprì il volto rivelando che non si trattava del mio amico e fratello di Jacq, che mi strinse forte un braccio, iniziammo ad allontanarci dalla scena per non dare nell’occhio, l’ultima cosa che vidi fu il venditore di armi di Saint-Ouen che stava annotando qualcosa su di un taccuino con estrema diligenza.


Veronique

Il lavoro portò Marcus a doversi stabilire in Italia, a Firenze, dovendo permanere per almeno un anno tutta la famiglia si trasferì nella città toscana, rimanendone subito affascinata. Letizia, la madre di Sebastian, era italiana, pur essendo originaria della Marche conosceva Firenze e fu ben felice di tornare nel suo paese natio. Fin da quando era nato a Sebastian era stato insegnato l’italiano per cui non ebbe nessun problema ad inserirsi nella scuola pur essendo già al quarto anno delle superiori. Non esistevano cellulari o internet per comunicare ancora, gli apparati di cui si occupava suo padre poco avevano a che fare con i moderni elaboratori odierni con le loro schede e le dimensioni da armadio. Con Veronique si erano tenuti in contatto con i mezzi più classici, il telefono, ma le interurbane avevano costi proibitivi, e le lettere. Malgrado i tempi e le difficoltà il legame era rimasto vivo, così quando Marcus annunciò che Armand sarebbe venuto a Firenze per degli affari di lavoro lui sperò da subito portasse la figlia, e per lettera lei glielo confermò. A dire il vero i genitori non sapevano di loro, sicuramente lo pensavano, ma ufficialmente ne erano all’oscuro, così come Gabriella, la ragazza con cui stava Sebastian a Firenze. I lunghi capelli ricci neri, gli occhi scuri profondi, un fisico flessuoso, Gabriella non ci aveva messo molto ad entrare nell’orbita di Sebastian.
Veronique indossava una camicetta leggera bianca che faceva intravedere il reggiseno ed una gonna azzurra plissettata su due sneakers bianche, i lunghi capelli serici biondi le cadevano a fiotti sulle spalle. Si raccontavano le cose successe in quei mesi di separazione, gli argomenti ragazzi e ragazze erano evitati, farsi promesse con oltre 1.000 km. di distanza a quell’età era impensabile. Privo di notizie sui suoi amici parigini, Sebastian si rammaricò di non avergliene parlato, ma i mondi di Veronique e di Jacq e Marcel erano troppo distanti tra loro. Appena consumato il dolce avevano annunciato sarebbero andati in giro per Firenze, lui oramai la conosceva piuttosto bene e avrebbe fatto da Cicerone, assunte le solite, scontate, raccomandazioni del caso, si erano precipitati in strada. L’aveva baciata appena girato l’angolo, fuori da ogni possibile vista dei genitori, lungo ed appassionato, alimentato dal distacco, sembrava infinito. Poi via per le strade del capoluogo toscano, ancora più magico nella notte di primavera, correndo per le antiche strade, costeggiando l’Arno tenendosi per mano, fermandosi, spesso, a baciarsi e toccarsi. Armand era un padre rigido, l’orario imposto per il rientro a casa era tassativo, controvoglia rientrarono a casa, Veronique e suo padre erano ospiti in casa loro al piano di sopra, si salutarono con ultimo bacio e lei raggiunse suo padre.
Solo nel letto, nessuno dei due prese sonno facilmente, la voglia di stare assieme era superiore a qualunque cosa, ma c’era poco da fare. Il giorno seguente accadde un insperato colpo di fortuna, Marcus ed Armand avevano ricevuto incarico di andare a Napoli per un incontro importante con un cliente di passaggio, si sarebbero fermati a dormire là rientrando solo il giorno seguente. Inutile riepilogare le infinite raccomandazioni dei genitori alla partenza, il tempo di vederli partire ed i due giovani erano uno nelle braccia dell’altro, i vestiti volarono via e si ritrovarono nel letto di Sebastian in un attimo. Veronique era dolce come un Pastis pensò Sebastian mentre si fondeva in lei, impacciata, ma deliziosa, una certa timidezza rendeva il tutto ancora più delizioso. Stretti nel caldo abbraccio delle lenzuola il tempo passava veloce, venne l’ora di cena, aumentata dall’attività fisica svolta.
“Usciamo? Andiamo a mangiare qualcosa?”, propose Sebastian.
“Sai che ci telefonano per sapere che vada tutto bene e siamo in casa…”, risposte Veronique.
Sebastian guardò Veronique, completamente nuda, mollemente adagiata al suo fianco che lo stuzzicava con un piede.
“Direi che va tutto bene…”, le rispose sorridendo, “aspettiamo che ci chiamino ed usciamo” aggiunse dopo un attimo di riflessione.
“Ed intanto che facciamo?”, gli chiese lei continuando a stuzzicarlo.
“Vediamo di usare il tempo al meglio”, le rispose chinandosi a baciarla.

Come previsto i genitori telefonarono per avere notizie,
“Tutto bene a casa? State tranquilli, domattina torniamo, stasera chiudete bene tutte le porte mi raccomando”, ordinarono Armand e Marcus al telefono.
“Sì, sì, certo, abbiamo già cenato, ora guardiamo un film e poi andiamo a dormire ci vediamo domani”, risposero i ragazzi.
Appena messo giù il telefono Sebastian guardò la ragazza con un sorriso complice,
“Ora fuori!”.
Bermuda e camicia bianca aperta, Sebastian guardava ammirato la compagna, gli shorts azzurri e la canottiera rosa facevano risaltare il fisico di Veronique dando alla sua adolescenza un tocco di eleganza sexy. Mano nella mano a passeggiare per le strade di Firenze sotto il tetto di stelle, fra antichi campanili e loggiati patrizi, tra la folla che riempiva le strade, baciandosi negli angoli

Veronique godeva l’improvvisa libertà, senza l’assillo del padre iper-protettivo che a casa le impediva di uscire la sera, Sebastian l’aveva conquistata subito con la sua aria matura, così diverso dai tanti compagni e fidanzati saltuari che frequentava. Ripensò al giorno passato assieme, rispetto i rari rapporti frettolosi avuti fino a quel momento, il sesso con il ragazzo austriaco era stato una scoperta, lo guardò e le venne subito voglia di baciarlo. Lo trascinò dietro l’angolo in un vicolo che partiva dalla strada principale piena di folla rumorosa, gli buttò le braccia al collo e lo iniziò a baciare con tutto l’ardore dei suoi 16 anni. Infine si staccò, vide con la coda dell’occhio della gente ferma in fondo al vicolo, lontano dalle luci del centro la stradina si perdeva nel buio, rotto da una insegna luminosa traballante posta sopra l’ingresso, sentì anche della musica provenire da quel luogo.
“Guarda!”, indicò a Sebastian, “Che posto strano! C’è gente, andiamo a vedere di cosa si tratta? Sono curiosa”.

Sebastian era ancora stordito dall’improvviso assalto di Veronique, perso, sentì la proposta della ragazza e si girò verso il fondo del vicolo, una sensazione gli diceva di starne alla larga, ma lei ci teneva tanto e non voleva deluderla o fare la parte del fifone.
“Andiamo a vedere”, acconsentì. Si diressero verso la luce che ne indicava l’ingresso, passando tra due muri sempre più stretti e sudici, la musica si faceva sempre più distinti man mano che arrivavano all’entrata. 5 o 6 persone stazionavano all’entrata, qualcuno fumava, avevano un’aria stralunata e poco rassicurante, ma non di per sé pericolosa, uno li salutò mentre passavano, Veronique rispose in francese sorridendo all’espressione stupita apparsa sul viso dell’uomo. Varcarono la porta di vetro sporco dietro cui trovarono una scaletta ripida e stretta con i gradini coperti da una sudicia moquette rossa. In fondo c’era un bancone microscopico dove dietro stava un uomo magro, due baffi sottili, occhiali neri squadrati, un cappello in testa, li guardò in silenzio per un attimo, poi con un gesto del capo gli indicò la sua destra dove un’altra scala scendeva ulteriormente. In realtà le rampe che dovettero percorrere furono 3, sembrava non finissero mai, la musica stava diventano assordante così come un odore di stantio poco piacevole, Sebastian valutò l’idea di tornare indietro, ma Veronique pareva in preda ad una frenesia incomprensibile, elettrizzata scendeva sempre più velocemente trascinandoselo dietro per mano. Finalmente arrivarono in e varcarono una soglia chiusa solo da una tenda verde e sporca come tutto il resto del locale. Si aprì un locale piuttosto vasto che contrastava con le minime dimensioni della scalinata che vi ci portava, di forma circolare sul lato estremo opposto all’entrata stava un palco dove una orchestra di quattro elementi suonava una musica ossessiva e ritmata, sulla sinistra stava un bar male illuminato, mentre sulla destra, circondato da alcuni divanetti sfondati, c’era un cilindro con un palo al centro su cui era avvinghiata una donna ben poco vestita che si muoveva a ritmo.
“Penso che sarebbe meglio ce ne andassimo”, provò a suggerire Sebastian.
“Dai, non ho mai visto niente del genere, è forte, chissà quando mi ricapiterà, cosa vuoi che succeda? Poi mi sento sicura con te.”
Sebastian si guardò attorno, tutti suoi sensi erano all’erta e gli consigliavano di non darle ascolto, un rapido giro di orizzonte gli fece vedere i tanti uomini che giravano per il locale o stavano seduti e come guardavano le forme di Veronique con palese interesse. Ma l’ultima frase detta da lei lo aveva incastrato, non poteva certo deluderla.
“Ho sete”, aggiunse lei, “prendiamo qualcosa da bere?”
Si diressero al bar, “Due cognac”, ordinò lei.
Sebastian sussultò “Sei impazzita? Da quando bevi alcolici?”
“Quasi mai, ma stasera mi va, dai, festeggiamo, domani tornerò a Parigi.”
Il barista pareva un viso vagamente conosciuto, ma non fece segno di averlo mai incontrato, gli servì i due liquori e si dedicò ad altri lavori dandogli le spalle. Si gustarono i loro cognac, pessimi, ma in linea con il resto del locale, una volta bevuti la ragazza guardò in giro, davanti all’orchestra c’era uno spazio dove una decina di persone stavano ballando, “Dai, andiamo a ballare, un poco, poi ce ne andiamo!”
Sebastian si girò verso il barista per pagare le consumazioni, ottenendo però solo un educato diniego,
“Le consumazioni ve le hanno offerte quei signori laggiù”, spiegò indicando un tavolino sulla destra dove stavano seduti tre uomini. Il ragazzo si girò verso di loro, uno di essi alzò il proprio bicchiere con un gesto di saluto, Sebastian aveva il sangue caldo e stava per andare a discutere, ma guardando meglio decise che non erano i tipi con cui fosse bene litigare e Veronique lo tirava verso la pista, ringraziò con un cenno della testa e la seguì. Non l’aveva mai vista così, l’improvvisa libertà ed il super-alcolico bevuto avevano trasformato la timida adolescente in una donna attraente e desiderabile che ballava in maniera provocante strofinandosi addosso a lui, che invece si sentiva sempre più a disagio. Passò del tempo, poi finalmente la stanchezza fece capolino e Veronique gli chiese di passare in bagno per poi rientrare a casa. Si recarono alle toilettes che erano insolitamente affollate, restarono intesi che si sarebbero ritrovati subito fuori dai bagni appena fatto. La zona delle toilettes era nascosta come in tutti i locali pubblici, un paravento faceva da schermo ad un corridoio che portava alle porte di accesso. Veronique entrò in quello delle donne e Sebastian nel proprio, curiosamente i bagni erano tutti occupati e dovette attendere parecchio per poterlo usare, nervosamente fece prima possibile non gli andava di lasciare sola la ragazza. Uscito non la vide, rimase interdetto, possibile anche lei ci avesse messo tanto? La zona era adesso deserta, prese una decisione e dopo avere bussato aprì la porta dei bagni donne, non c’era nessuno, bussò alle porte delle toilettes senza risposta aprendole poi una ad una per sincerarsene, Veronique non era lì. Ritornò davanti alle porte dei bagni con l’ansia che lo strozzava, la musica ebbe un attimo di pausa e un piccolo grido gli arrivò all’orecchio facendolo sobbalzare, guardò la terza porta che si trovava lì e l’aprì con decisione trovandosi di fronte ad uno spettacolo sconvolgente. C’era un piccolo cortile interno senza vie di uscita, contro il muro alla destra della porticina stava in piedi Veronique, con lei erano i tre uomini che gli avevano offerto da bere precedentemente, quello che lo aveva salutato stava addosso alla ragazza tenendole i polsi, la canottiera era stata semi strappata, gli shorts malgrado i disperati tentativi difensivi di Veronique che scalciava per quanto poteva erano stati fatti scendere, gli altri due guardavano la scena ridendo. Per la prima volta nella sua vita Sebastian sentì quella sensazione, che poi l’avrebbe accompagnato in tante altre occasioni della vita, di rabbia, ma non quella delle piccole risse avute finora, si trattata di una fredda determinazione a fare male, a colpire, in quel momento, pur non sapendo se le sue forze glielo avessero potuto consentire, era pronto ad uccidere con letale presenza. Si scagliò con il pugno teso e caricato verso l’uomo che teneva la ragazza e stava cercando di baciarla, la forza della rincorsa unita alla rabbia conferì al colpo una potenza che provocò un impatto devastante sulla mascella sinistra dello stupratore, la testa ebbe un violento rimbalzo andando a sbattere contro il muro, schizzi di sangue si sparsero tutto intorno mentre l’uomo crollava a terra. Veronique gli si buttò al collo piangendo, gli altri due rimasero come inebetiti dalla sorpresa e probabilmente anche dal molto alcool già assunto.
“Via! Presto!”, gridò Sebastian a Veronique aprendo la porticina, con gli shorts tirati su ed ancora slacciati lei si infilò di corsa nel varco in cerca della salvezza, lui la stava seguendo quando una mano lo prese alla caviglia facendolo cadere, la porta si richiuse e lui si ritrovò per terra, nel cortile assieme ai tre loschi uomini. Gli altri due gli furono addosso uno per parte, il terzo si asciugava la faccia dal sangue, vari denti si erano rotti, il suo viso era trasfigurato dall’odio, estrasse un coltello,
“Non toccatelo, ci voglio pensare io”, ordinò agli altri due, “poi andremo a riprendere la biondina per finire di divertirci con lei.”, si avvicinò sorridendo, per quanto la faccia deturpata glielo consentisse, a Sebastian bloccato per le braccia a terra, gli fece vedere il coltello, Sebastian vide la fine della sua ancora giovane vita in un attimo. Ma non era ancora il suo momento, vide un’ombra per un attimo, poi i due uomini lo lasciarono, un energumeno non alto, ma enorme, grosso come ne aveva visti solo nei films, li aveva presi con le sue braccia e scagliati altrove, poi si girò verso quello con il coltello. Mentre gli altri due correvano fuori dalla porticina senza preoccuparsi del loro amico, questi si mise in guardia, ma l’energumeno non parve preoccuparsene minimamente, non proferiva una sola parola ed il viso non tradiva la minima espressione. Con una mossa incredibilmente agile e veloce, colpì la mano con il coltello facendolo cadere per terra, l’altro lo guardò impaurito ed arretrò mentre il bestione raccoglieva il coltello da terra e si dirigeva verso di lui. Rannicchiato in un angolo si mise a piangere implorando pietà mentre l’uomo silenzioso gli si avvicinava. Sebastian non voleva vedere morti
“Lascialo andare, non ha ancora fatto niente, penso abbia imparato la lezione”, chiese all’energumeno.
Questi girò un attimo la sua testa completamente calva, lucida anche nella fioca luce del cortiletto, ma non guardava lui, bensì una figura che silenziosamente era entrata ponendosi alle sue spalle. Sebastian lo guardò sotto la fioca luce, era il barista, inappuntabile, mostrava sottile interesse alla scena, ma non dava minimamente l’idea di voler intervenire in merito. Il ragazzo guardò l’uomo facendo riaccendere un vago ricordo che non riusciva a mettere a fuoco, questi invece incrociò lo sguardo con l’energumeno calvo, fece un lieve cenno con la testa, Sebastian riportò gli occhi sul bestione, questi tornò a mettere la sua attenzione sullo stupratore a terra, atterrito, cominciò a pregare avendo probabilmente capito cosa stava per succedere, il calvo alzò il coltello e lo abbassò seccamente piantandolo nel cuore dell’uomo immobilizzato a terra, questi ebbe un sussulto e senza proferire una sola parola rimase immobile per sempre.
“Prego Sebastian”, proferì il barista cortesemente aprendogli la porticina.
Il ragazzo si alzò e si buttò verso l’uscio, si fermò sulla rivolgendosi al barista,
“Come sa il mio nome?”, gli chiese.
Il barista gli rivolse un vacuo sorriso e chiuse la porta dietro al ragazzo.

Sebastian corse su per le quattro rampe di scale, si buttò fuori come un fulmine guardandosi attorno, sulla sinistra appoggiata al muro c’era Veronique, le mani incrociate davanti a chiudere la canottiera strappata, il viso sconvolto percorso dalle lacrime, il ragazzo la prese a sé stringendola forte, poi si incamminarono verso casa. Ivi giunti fecero una doccia bollente per togliersi lo sporco di dosso, almeno quello visibile, poi andarono a letto senza dire una parola, lei si strinse addosso a Sebastian per assorbirne tutto il calore possibile. Era notte fonda quando finalmente la stanchezza vinse l’orrore e caddero in un sonno ristoratore. Al mattino la sveglia li fece alzare in tempo per rientrare ognuno nella propria stanza ed attendere l’arrivo dei genitori. Fu faticoso fare finta di niente, ma nessuno dei due padri dette idea di avere sospetti. Al momento di salutarsi Veronique abbracciò forte Sebastian sotto lo sguardo ironico e divertito dei due genitori, che sicuramente pensavano solo ad una cotta giovanile, poi lei partì. Sebastian non l’avrebbe mai più rivista per tutta la vita..




Incontri

Shane spinse un tasto ed immediatamente si stabilì una connessione protetta, Sebastian si avvicinò allo schermo per guardare il lavoro della Vpn instaurata, la scarsa luce che illuminava il loro tavolino nell’angolo del locale faceva risaltare la luminosità dello schermo oled del loro notebook. Girò lo sguardo sul schermo e vide che lo sniffer non riusciva a decifrare nulla, funzionava. Ce l’avevano fatta! Si guardarono negli occhi increduli, ma soddisfatti.
“Ho un finanziatore a New York”, aggiunse Shane, “ho preso un appuntamento.”, concluse.
Sebastian si appoggiò allo schienale in silenzio, socchiuse gli occhi, la pianista sul palco del Brake Club era particolarmente brava, la sua voce aveva creato un climax di intensità emozionale. Socchiuse gli occhi assaporando il piacere ed il dolore della solitudine. La sala era piombata in un silenzio irreale pervaso dalla jazzista sul palco che aveva incantato il pubblico, aprì le palpebre e si dedicò a studiare le persone nella sala, alla loro destra alcune persone anziane ed eleganti festeggiavano un compleanno stappando costose bottiglie di champagne, a sinistra due coppie confabulavano tra loro, il locale era elegante e fittamente popolato quella sera. Proprio di fronte a lui, libero da impedimenti, vide un tavolino con due donne di rara bellezza, alternative e contrastanti tra di loro, bionda ed elegante quella a sinistra fronte palco, capelli neri lunghi, abbigliamento casual ed attraentemente sexy l'altra. Sebastian si fissò a guardare la bionda, il suo vestito kaki aveva pagliuzze dorate che lo facevano brillare sotto le luci tenui della sala, corto quel tanto che bastava, mostrava graziosamente un paio di gambe perfettamente abbronzate, una vezzosa scollatura faceva capolino sul petto. La semplice estetica non l’avrebbe colpito particolarmente se non fossero stati i gesti che la donna bionda metteva, inconsapevolmente, in atto. Rimase a guardare affascinato con quale grazia si raccogliesse i capelli in uno chignon con una mano mentre con l’altra sorseggiava un calice di Porto come se fosse nata per quello.
“Le hai notate anche tu?”, gli chiese Shane. Sebastian girò lo sguardo verso la bruna, per quanto la prima era elegante e distante, lei appariva sbarazzina, una generosa scollatura attirava gli sguardi, forse sentendosi lo sguardo addosso lei si chiuse i bordi della maglia bianca, Sebastian sorrise rivolgendosi all'amico.
“Notevoli vero? Quale ti piace di più?”, gli chiese.
Shane rimase un attimo in silenzio, “La mora indubbiamente, tu cosa dici?”
“Avevo pensato entrambe, ma se proprio ci tieni…”, gli rispose sorridendo.
“Abbiamo sempre diviso tutto no?”, aggiunse ridendo Shane.
Sebastian riportò lo sguardo al tavolino di fronte, intanto la pianista aveva terminato ed il locale si era sciolto in applausi entusiastici, la bionda si sciolse i capelli lasciandoli morbidamente cadere sulle spalle, entrambe si alzarono dirigendosi verso l’uscita, aveva notato come questi movimenti fossero frequenti classificandole come incallite fumatrici.
“Andiamo anche noi?”, propose a Shane girandosi verso l’amico. Questi assentì e facendosi spazio tra i tavolini percorsero il locale fino alla porta, come avevano previsto le due ragazze erano lì, fuori dalla soglia a fumare. Agguantarono quattro calici di vino al bancone ed uscirono anche loro raggiungendole.



Sogno ricorrente

Il palazzone a East Harlem era un cubo di cemento brutto e grigio, era più basso dei palazzi circostanti, cosa che permetteva a chiunque di vederne la sommità, ora Vi chiederete cosa ci possa essere da vedere e perché qualcuno debba perdere il proprio tempo a guardare un terrazzo che sormonta un palazzone popolare di tale anonima bruttezza. La scena che vi accadeva sopra era tanto irreale quanto surreale e stupefacente, un ballerino, piedi e dorso nudi vestito solo con una calzamaglia nera aderente come una seconda pelle, danzava librandosi in aria per poi ricadere senza posa, tracciando traiettorie e disegnando linee di una bellezza senza fine, l'armonia del suo muoversi teneva spettatori improvvisati ed attoniti fissi, meravigliati e silenziosi, a tutte le finestre dei palazzi circostanti. La musica veniva da un grande stereo integrato, tipo quelli in voga sulle spiagge negli anni '80, appoggiato in un angolo, che irradiava melodie in un crescendo di rara bellezza ed armonia riuscendo a sovrastare perfino il rumore del traffico nelle strade sottostanti. In un secondo angolo, so che sembra difficile da credere, ma una spiegazione sicuramente ci sarà, un samurai giapponese in uniforme da combattimento, tonalità nere, gialle con sfumature di rosso, era fermo, rigido come una statua, le mani erano unite sull'impugnatura di un'affilata, scintillante, spada la cui punta era puntata sul pavimento in cemento.

Nel terzo angolo di 10 o di 100 anni, capelli tagliati simmetricamente a caschetto biondo, occhi castani intensi, tratti regolari delicati, con indosso un completo giacca e pantalone blu con una cravatta azzurra su camicia bianca è in piedi a gambe leggermente divaricate, fissa la scena senza dare segno di emozioni.

Infine nell'ultimo angolo una donna con lunghi capelli biondi acconciati in maniera talmente perfetta che nemmeno una ciocca si muove in mezzo al vento che spazza il terrazzo, è vestita di un tailleur Chanel nero con scarpe in tinta, il viso bellissimo fa da cornice a due occhi azzurri come il ghiaccio, anche lei fissa la scena senza dare segno di nessuna emozioni.  





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